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JOBS ACT e TFR

Secondo appuntamento con l'analisi della prossima Legge di stabilità

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Come promesso, riprendiamo le fila del discorso interrotto la scorsa settimana, con l’intento di fornire ai lettori una corretta informazione a proposito della prossima riforma del governo Renzi, il già famoso Jobs Act. Una volta risposto alle prime e più logiche domande di carattere generale, addentriamoci dunque nello specifico...

La rivalutazione

Che si sia deciso di lasciare il TFR in ditta o che si sia scelto di destinarlo ad una forma di pensione complementare, la somma maturata è comunque soggetta ad una rivalutazione annua, a compensazione (almeno parziale) della svalutazione che l’immobilismo di questo capitale altrimenti comporterebbe.
Di quanto stiamo parlando, dunque?
Se i soldi sono in ditta, l’ammontare della rivalutazione è determinato dalla legge: si tratta dell’1,5% annuo, più lo 0,75% dell’inflazione dichiarata dallo Stato. Si tratta perciò di un calcolo che include una componente fissa ed una componente variabile e che ad oggi, dati i bassissimi valori di quest’ultima, non si discosta troppo dall’1,5%.
Se al contrario i soldi sono stati destinati all’esterno della ditta, la rivalutazione dipende dal piano che è stato scelto in fase di sottoscrizione del contratto. Può trattarsi di un piano integralmente garantito, formato unicamente da titoli di stato, obbligazioni ed in generale strumenti finanziari che non comportino alcuna percentuale di rischio o potrebbe trattarsi di qualcosa di più aggressivo, che includa una componente azionaria più o meno importante.
Non esiste una scelta migliore in assoluto. E’ ovvio che, in un momento di elevate performance dei mercati, una componente azionaria possa portare benefici immediati più importanti, ma è altrettanto ovvio che la stessa impedisca di garantire un rendimento minimo. Si tratta, in buona sostanza, di scegliere tra il rischio di ottenere un interesse più elevato e la certezza di non avere mai perdite nella gestione del capitale.

Si possono avere anticipazioni sul TFR?

Il TFR maturato può essere intaccato prima del raggiungimento della pensione o della cessazione del rapporto di lavoro subordinato, ma solo in alcuni casi specifici che sono regolati dalla legge:
•       Fino al 70% di quanto maturato in caso di gravi e documentate spese mediche
•       Fino al 70% per acquisto o ristrutturazione della prima casa per sé o per i figli
•       Fino al 70% per eventuali spese da sostenere durante la fruizione dei congedi parentali o per formazione del lavoratore
Al di fuori di questo elenco tassativo, per accedere alla somma è necessario un accordo specifico con il datore di lavoro, che – è bene specificare – non è però obbligato a soddisfare alcuna richiesta da tale punto di vista.
Alcuni piani pensionistici, inoltre, consentono di avere un accesso a parte del capitale dopo un certo numero di anni di adesione.

Cosa cambia con la Riforma?

Fino ad ora, le scelte per il lavoratore erano solamente due: lasciare il TFR in azienda o destinarlo all’interno di un fondo pensionistico, fosse questo negoziale (come i vari Telemaco, Fonchim, Cometa, ecc.) oppure aperto (Poste, Banche, Assicurazioni).
Dall’entrata in vigore della nuova legge sarà invece possibile attivare una terza opzione: il TFR mensile potrà essere percepito direttamente in busta paga, mensilmente, anziché essere accantonato come liquidazione.

Quali sono le differenze?

C’è una differenza fondamentale della quale non abbiamo ancora parlato ed è quella della tassazione della somma una volta che questa viene percepita dal lavoratore. Tale tassazione è diversa nei tre diversi casi e sarà proprio di questo, dettagliatamente, che parleremo nel prossimo appuntamento, per il quale vi rimandiamo alla prossima settimana.

Per curiosità o chiarimenti, potete scrivere all’indirizzo e-mail giacomo.fortunati@gmail.com

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