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SPECIALE 8 MARZO: Concordia, le biologhe subacquee che salvano i fondali del Giglio

Una squadra prevalentemente al femminile quella degli operatori scientifici subacquei dell’Ispra e di Arpa Toscana intervenuti dopo il naufragio

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ISOLA DEL GIGLIO - Sono trascorsi sei anni da quel 13 gennaio 2012 in cui la nave della Costa Concordia impattò i fondali dell’Isola del Giglio provocando la morte di 32 persone tra passeggeri ed equipaggio. Ispra e Arpa Toscana hanno affrontato l’emergenza insieme alla Protezione Civile e sin dai primi mesi hanno monitorato le acque ed i fondali dell’isola con i propri esperti. Il team di operatori scientifici subacquei dell’Ispra è composto da quattro ricercatori di cui tre donne. Ambiente Informa ha intervistato due di loro, Marina Penna e Benedetta Trabucco.

Qual è stato il vostro ruolo durante l’emergenza della Concordia?

Benedetta Trabucco: “Come Ispra abbiamo partecipato alle operazioni sin dalle prime fasi dell’emergenza, insieme ad Arpa Toscana. Abbiamo lavorato su diversi fronti, tra cui quello in subacquea. Nostro compito è stato, ed è tuttora, quello di monitorare l’ecosistema dell’area colpita. Quindi, sin dal mese successivo al naufragio, la nostra squadra di operatori scientifici subacquei ha iniziato il monitoraggio sistematico dell’ecosistema marino, studiando le comunità biologiche, vegetali ed animali, attraverso campionamenti ed indagini video-fotografiche. Un ecosistema indubbiamente di pregio quello dell’isola del Giglio, costituto da praterie di Posidonia oceanica e da formazioni coralligene. Possiamo pertanto affermare che in questi sei anni abbiamo monitorato (e continuiamo a farlo) attentamente l’ecosistema, dall’emergenza, alla rimozione della nave fino ad oggi”.

Qual è la situazione attuale dei fondali del Giglio?

Marina Penna: “Abbiamo osservato, e questo è confortante, che l’impatto è stato circoscritto alla stretta area dell’incidente. Per “impatti” si intendono gli eventuali danni causati dal naufragio e dal cantiere per la rimozione del relitto sull’ecosistema e possiamo dire che questi non si sono estesi oltre l’area del cantiere. In generale, l’ecosistema di sta riprendendo. I fondali del Giglio sono caratterizzati da praterie a Posidonia molto estese. La Posidonia è un pianta endemica e protetta del Mediterraneo, che forma un vero e proprio ecosistema sommerso,  che può essere assimilato come produttività alla foresta pluviale. Quanto al coralligeno del Giglio, esso è formato da animali ed alghe tra cui gorgonie e spugne che formano comunità complesse tridimensionali che si sviluppano nelle loro forme più strutturate in tempi molto lunghi. Per osservare nuovi equilibri ecologici espressi da questi habitat, quindi, ci sarà bisogno di tempo”.

Che impatto avete avuto davanti alla nave affondata?

Benedetta Trabucco: Sì un impatto molto forte, sia sopra che sotto l’acqua, vedevamo dentro i saloni della nave. In più le nostre stazioni di campionamento erano molto a ridosso del cantiere e della nave stessa. Lavorare con l’incombenza del relitto così evidente è stato sicuramente di una certa impressione.

 

Parliamo ora della vostra professione di biologhe marine subacquee. Quante sono in Italia le donne che fanno questo lavoro?

Marina Penna: “Non molte, però sicuramente oggi sono più del passato. Ad esempio, ce ne sono diverse nella subacquea professionale, cioè tra i cosiddetti ”Operatori Tecnici Subacquei”, operai specializzati che costruiscono e lavorano nei cantieri subacquei.

C’è da dire, e questo lo ricordiamo entrambe molto bene, che quando arrivammo al Giglio nei primi mesi dell’emergenza, erano presenti tanti corpi militari subacquei, e noi tre dell’Ispra eravamo le uniche donne! Questo perché l’ambiente della subacquea ha un passato militare e quindi legato prevalentemente agli ambienti maschili.

Nel mondo scientifico le donne non mancano, soprattutto perché la biologia è una disciplina a maggioranza femminile. C’è comunque da dire che nel campo della ricerca marina, non solo subacquea, si viene spesso a contatto con ambienti che non sono scientifici, come quello dei pescatori, dei marittimi, delle piattaforme off-shore, tutti contesti prevalentemente maschili. Personalmente devo dire, però, che non ho mai incontrato grossi problemi.

 

Come è nata la passione per il lavoro subacqueo?

Marina Penna: “Ho iniziato sin dagli all’università, dove mi sono specializzata in biologia marina e quando ho iniziato gli studi ero già “brevettata”. Nel 1999 ho iniziato a lavorare nell’ex-Icram (Istituto per la ricerca sul mare, poi confluito in Ispra) e subito sono diventata subacquea dell’ente. Non ho mai interrotto la mia attività se non per le gravidanze. La nostra professione, come tante altre, ha bisogno di un monitoraggio attento della sicurezza, sia nella sorveglianza sanitaria che nelle procedure pre e post-immersione.

E’ una professione rischiosa quella dell’operatore subacqueo?

Benedetta Trabucco: “Come diceva Marina, c’è bisogno che si svolga in assoluta sicurezza, come tante altre professioni. Qui devo dire che Ispra ha fatto un passo importante definendo le “Buone prassi per lo svolgimento in sicurezza delle attività subacquee di Ispra e delle Agenzie ambientali”. C’è infatti tuttora un vuoto normativo per la subacquea scientifica, un’attività considerata a metà strada fra quella lavorativa e ricreativa. Da qualche anno abbiamo finalmente un riconoscimento che ci permette di operare in sicurezza. Le “buone prassi” di Ispra e delle Agenzie ambientali hanno anche ricevuto un premio nel 2015 come best practice da applicare per tutti colori che svolgono la nostra professione.

 

Dal sito AMBIENTE INFORMA SNPA

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