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Paolo Rossi, Confagricoltura; "Si intravede il sereno nella nostra agricoltura ma l’Europa non lo favorisce”

Il commento sulle statistiche del primo settore elaborate dal Centro Studi di Confagricoltura

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GROSSETO - “Nel momento in cui l’agricoltura italiana avrebbe potuto scrollarsi di dosso la crisi, l’Europa fa di tutto per affossare il settore primario, autorizzando  l’ingresso di olio tunisino con la scusa della solidarietà. Ma a pagare è sempre solo chi lavora la terra.” E’ durissimo il commento di Paolo Rossi, direttore di Confagricoltura che dall’analisi dei dati pubblicati recentemente dal Centro Studi di Confagricoltura ed elaborati direttamente dalla Camere di Commercio al 31 dicembre 2015, punta il dito contro una politica europea che fa sempre ricadere le conseguenze delle scelte della sua politica  sugli agricoltori italiani. “Eppure – continua Rossi – i segnali sono ben visibili e la luce in fondo al tunnel non sarebbe stata poi così lontana”. Infatti, dallo studio confagricolo, emerge sì una diminuzione delle imprese agricole ma in misura sensibilmente più contenuta rispetto agli anni precedenti (-0,95% rispetto al –2,43% del 2014) con una perdita in 15 anni di oltre 300mila aziende. Il rapporto poi tra quelle agricole iscritte e le totali (dati Istat) è cresciuto dal 2000 al 2013 di oltre 9 punti (53,4%), il che significa che rispetto al contesto agricolo generale, vi è un maggiore peso di quelle che operano sul mercato. Dato fortemente negativo è rappresentato dal decremento di quelle  “giovanili” mentre sono in lieve ripresa le “femminili”. “Sono soddisfatto – aggiunge il direttore – perché dal 31 dicembre, per la prima volta dall’inizio della crisi economico-finanziaria mondiale, la diminuzione delle aziende agricole è scesa sotto il punto percentuale, ma con le azioni dei parlamentari europei si rischia di vanificare quanto di buono il settore aveva fatto”. Bisogna anche tener conto che le cifre del Registro delle Imprese devono dunque essere analizzate confrontandole con i dati Istat che riguardano la totalità delle aziende agricole, avendo ben  presente che il Registro interessa solo quelle con partita IVA che producono beni e servizi per il mercato. Un altro dato è la recente notevole contrazione della superficie agricola (SAU) dal 2010 al 2013 che tende ad incidere più che nel passato sul numero delle aziende agricole registrate nelle Camere di Commercio. Ma ha pagare di più la crisi sono le aziende a conduzione giovanile o femminile;se nel  2015, quelle “giovanili” confermano la riduzione sensibilmente superiore al totale (-3% rispetto a - 1%) già riscontrata nel quinquennio precedente, le “femminili” alternano la tendenza con una flessione leggermente inferiore (-0,7% rispetto a -0,9%). Inoltre le donne imprenditrici continuano ad essere molto più frequenti in agricoltura (28.77% rispetto a 21,67%) a confronto con la media generale con un tasso di femminilizzazione delle aziende agricole molto elevato (oltre il 30%) per quanto riguarda quelle piccole o a conduzione familiare, mentre tende a ridursi sensibilmente per dimensioni organizzative superiori. “E’ evidente – spiega Rossi - che il sistema agricolo italiano non è quello dell’incremento del numero complessivo di aziende, tenuto conto delle ormai consolidate  tendenze alla riduzione della SAU per effetto dell’urbanizzazione, al trasferimento di terreni (cessione o affitto) dalle piccole imprese a quelle di maggiore dimensione, come evidenziato dal costante incremento della superficie media aziendale. Per quanto riguarda le imprese iscritte, che producono beni e servizi per il mercato, che attualmente rappresentano poco più del 51% delle aziende complessive, sarebbe stato lecito attendersi un graduale decremento del loro numero, vista la crescita della superficie media aziendale (nel 2013, 8,5 ettari; fra il 2000 e il 2013, +3 ettari). Tale riduzione si è verificata fra il 2010 e il 2015, contemporaneamente a quella delle aziende agricole iscritte di ben 101mila unità (-11,7%). Il trasferimento di parte dei terreni dalle piccole alle grandi aziende, che sono andate incontro a chiusura, ha interessato, soprattutto dopo il 2007, anche aziende agricole già iscritte. E nel 2015 – conclude il direttore - questo fenomeno di “polarizzazione” del sistema agricolo in direzione delle aziende di maggiore dimensione sembra essersi attenuato, anche se sono aumentate le forme di impresa più strutturate. Dunque, l’idea di creare un sistema di reti di aziende anche in Maremma,  potrebbe essere la soluzione ottimale per aiutare l’agricoltura non solo a sopravvivere ed a scrollarsi di dosso la crisi, ma soprattutto a crescere ed a creare reddito ed occupazione, sebbene l’Europa preferisca alla tutela della sua economia e delle sue produzioni tipiche mediterranee quella dei paesi africani. Ma questa è un'altra storia di cui i nostri politici dovranno assumersi le loro responsabilità”.

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