FIRENZE - In Toscana il farmaco per l'epatite C verrà dato gratuitamente a tutti i pazienti che ne hanno bisogno. Si stima che siano 26.224 (pari allo 0,7% della popolazione toscana) i pazienti con infezione da virus dell'epatite C potenzialmente trattabili con farmaci ad azione diretta antivirale (DAA). Lo ha stabilito una delibera approvata stamani dalla giunta, in cui si dichiara che la Toscana ritiene necessario garantire a tutti gli assistiti l'accesso gratuito alla terapia farmacologica per la cura dell'epatite C.
Un ciclo di trattamenti si aggira intorno ai 30.000 euro a paziente. Per la Regione la spesa è stata valutata in 60 milioni di euro nel triennio 2015-2017: 10 milioni nel 2015, 25 nel 2016, 25 nel 2017. Una spesa notevole per le casse regionali. Va però considerato che bloccare la progressione del danno epatico in uno stadio precoce risolve defintivamente la malattia, riduce il rischio di diffusione ed evita tutte le spese derivanti dal trattamento della malattia. La delibera dà incarico all'Estar (Ente di supporto tecnico amministrativo regionale) di mettere in atto immediatamente le necessarie procedure pubbliche di affidamento delle terapie farmacologiche.
Il progetto nazionale di trattamento farmacologico dell'epatite C cronica ha ammesso alla rimborsabilità i farmaci DDA per i pazienti più gravi. In Toscana, circa il 70/80% (circa 18.000 persone) dei malati resta fuori dal progetto nazionale. Da qui la scelta di dare il farmaco gratuito a tutti.
Secondo le indicazioni della Commissione terapeutica regionale, contenute in un documento approvato il 4 maggio scorso, i nuovi farmaci ad azione antivirale diretta (DAA) costituiscono un'innovazione assoluta in ambito medico, perché garantiscono il massimo beneficio della cura: sono capaci di eradicare l'infezione in oltre il 90% dei pazienti trattati; gli effetti collaterali derivanti dall'impiego di questi farmaci è scarso o nullo; la terapia deve essere iniziata il più presto possibile, in quanto il trattamento tardivo, quando la malattia è già evoluta in cirrosi epatica, riduce ma non annulla alcune complicanze, tra le quali il tumore al fegato; i pazienti che rispondono alla terapia guariscono completamente, il medico non dovrà più prendersi cura del malato, evitando così tutte le spese derivanti dal trattamento della malattia.
Bloccare la progressione del danno epatico in uno stadio più precoce (epatite) - si legge nel documento - evita l'insorgenza di fibrosi avanzata/cirrosi e risolve definitivamente la malattia di fegato, con impatto positivo sulla morbilità e la mortalità associate all'infezione da HCV, riduce il rischio di diffusione della malattia e altresì riduce i costi sanitari generati dalle necessità assistenziali derivanti dall'evoluzione della malattia stessa e dalle co-morbilità correlate.
Una cura di questo tipo è più efficace di un vaccino - chiarisce ancora il documento della Commissione terapeutica regionale - perché, a differenza di quest'ultimo, non richiede di intervenire su tutta la popolazione per arginare, prevenire e eliminare l'infezione/malattia, ma permette di trattare e guarire chi è già portatore della malattia, senza intervenire sui soggetti sani. Il trattamento di tutti i malati è quindi scientificamente l'approccio più adeguato, essendo questa terapia un'alternativa al vaccino anti-HCV. Tanto è vero che le maggiori industrie farmaceutiche che avevano il progetto vaccino lo hanno abbandonato.
Già dall'agosto 2014, in attesa dell'accordo economico nazionale, la Toscana aveva fatto sì che fosse trattato in modo compassionevole un quarto dei pazienti gravi curati in Italia (216 trattamenti, a fronte di un totale nazionale di 894 trattamenti); dall'inizio di dicembre 2014 - da quando cioè il farmaco è stato reso disponibile sul mercato dall'AIFA (l'Agenzia italiana del farmaco) - i medici toscani possono prescrivere il farmaco, che al momento può essere erogato solo dai centri ospedalieri, in Toscana una quindicina.